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SULLA VIA APPIA IN IRPINIA  (abstract)

di Celestino Grassi 

 

Uno dei compiti dei cultori di storia locale è quello di fornire dati  ed informazioni che possono sfuggire agli addetti ai lavori, spesso costretti lontano dal territorio, affinchè costoro ne valutino l'importanza alla luce di un più ampio e consapevole quadro storico. Le considerazioni seguenti si inquadrano in questo contesto: esse si riferiscono all'originaria via Appia di epoca repubblicana (successivamente, soprattutto a partire dall'epoca imperiale, nascono numerosi diverticoli e varianti) e si basano su evidenze ed elementi raccolti negli ultimi 30 anni.

Alla data gli studiosi concordano su due tappe dell’Appia antica: gli abitati di Mirabella Eclano e di Venosa. Il tratto intermedio, ovvero il tracciato irpino, in mancanza di dati sufficienti, ha finora consentito diverse ipotesi, ma nessuna del tutto convincente. Prevale, più per tradizione che per argomentate motivazioni, l'ipotesi di un percorso Frigento/Mefite/Taverne di Guardia/Bisaccia/Ponte di S. Venere nonostante le distanze riportate dalla Tavola di Peutinger e dall'Itinerario Antonino autorizzino molti dubbi, a cominciare dall’identificazione di Romulea con Bisaccia e dalla conseguente collocazione di Sub Romulea.

 

Resti di Ponte Romano alla confluenza Sarda, Ofanto

Nel tratto iniziale la suddetta ipotesi è ben supportata dalla notorietà e dalla frequentazione della Mefite (viene citata da Virgilio, Cicerone, Plinio, Seneca, Strabone.....), dalle evidenze archeologiche di Frigento, dal toponimo Taverne che richiama una “mansio” tipica delle strade consolari, dalla monumentale tomba romana in località “Pietri” di Guardia. Ma di qui in avanti non solo le tracce di romanità scarseggiano ma non è coerente col pragmatismo dei Romani l'idea di piegare verso Nord con un giro tortuoso e pieno di asperità quando tutto suggerirebbe di puntare subito a sud lungo il più comodo corso dell'Ofanto.

Alle perplessità di natura geografica occorre aggiungere che, nell’ area compresa tra Mirabella e Venosa, il Municipio di gran lunga più importante era Conza  (Bisaccia in epoca romana contava molto poco) perchè controllava l'Ofanto, ovvero la principale via di comunicazione tra Adriatico e Tirreno grazie ai fiumi Sele e  Calore.

E' noto che nell'ottica dell'espansionismo romano il primo obiettivo della via Appia fu quello di assicurare il controllo del territorio; le legioni dovevano essere in grado di arrivare quanto prima nei punti strategicamente più importanti ed a tal fine Conza era fondamentale: la sua importanza non aveva confronti. Come se non bastasse da Guardia per arrivare a  Bisaccia occorreva traversare il Formicoso, all'epoca tutto ricoperto di boschi e perciò molto insidioso, noto ancor oggi ai locali per essere a lungo impraticabile  d'inverno a causa della neve.

 

Al contrario, poco dopo le “Tabernae” di Guardia (poste a circa 920 metri s.l.m.), proprio in località “Pietri”, inizia un'antichissima strada (il prof. Fedele ed il prof. Forgione ne hanno illustrato i reperti preistorici con conferenze e pubblicazioni), che scende dolcemente fino ai 450 metri s.l.m. di Conza: un vero e proprio ponte naturale che i locali continuano a chiamare “capostrada” nonostante sia da tempo poco più che una interpoderale. Chi costruisce strade sa che i percorsi più antichi sono i primi ad essere riutilizzati; gli ingegneri romani avevano a disposizione un sentiero collaudatissimo, tutto di crinale e sostanzialmente rettilineo: perche non utilizzarlo?

 

In base a queste considerazioni l'attenzione si è concentrata sulla “capostrada”: anche gli antichi toponimi hanno un significato.

 

Un primo importante elemento lo ha fornito l'Ofanto che, variando periodicamente il suo corso, ha rivelato alla confluenza col torrente Sarda il massiccio pilastro di un ponte romano (base di oltre 12 metri quadri, foto sul sito www.morreseemigrato.ch/storia) che attraversava il fiume proprio in corrispondenza della “capostrada”, a sua volta caratterizzata dalle tracce di  un antico selciato. Al riguardo, sulla destra del fiume in prosecuzione del ponte, testimonianze  oculari (tra cui il gen, Nicola Di Guglielmo della Società Storica Irpina) ricordano un tratto di circa 15 metri, largo poco più di 4 metri, lastricato con grosse pietre poligonali di colore scuro, tipo via Sacra del Foro Romano (oggi difficilmente accessibile perché incluso nell'area protetta dell'Oasi WWF del lago di Conza).

Su un rilievo poco distante dal pilastro e dalla “capostrada”, nella masseria Renna in agro di Conza, il prof. Johannowsky ha dissepolto una villa romana i cui reperti sono visibili nel parco archeologico di Conza; in direzione di Morra, a poche centinaia di metri, in località Piano dei Tigoli (il toponimo deriva dai numerosissimi tegoloni recuperati dai contadini), lo stesso studioso ha riportato alla luce nel settembre 1979 un tempio italico.

 

E’ importante considerare, ai fini della nostra ricerca, il fatto che l’inizio della “capostrada” è ubicato a “li Pietri” in contrada Luparelli, nei pressi di una chiesetta dedicata a S. Pietro, poi riedificata in forme moderne dopo il terremoto. Lì accanto, ai margini della strada, sorgeva un monumento funebre a pianta circolare (diametro di circa 8 metri) che il liberto Iucundus aveva dedicato a se ed al figlio quattuorviro Rufino ed i cui bassorilievi sono custoditi nella villa dell'orefice Iannaccone in Avellino. Tombe di questa importanza venivano costruite ai lati delle strade consolari.

 

Lungo la “capostrada”, in pochi chilometri, tra la tomba di Iucundus ed il pilastro sull'Ofanto, oltre ai  siti di Masseria Renna e Piano dei Tigoli, sono emerse le seguenti evidenze:

-        monastero di papa Leone, in contrada Papaloia (toponimo da papa Leone?), citato nel 1137 in Altercatio pro Cenobio Cassinensi da Pietro Diacono che descrive il suo avventuroso viaggio da Montecassino/Benevento/Guardia per Melfi;

-        villa romana a Cervino, su precedente abitazione sannitica;

-        chiesa di Montecastello (le Relationes ad limina ne documentano l'esistenza nel 1053)

-        contrada Chiancheroni (da planca, la pietra piatta caratteristica delle grandi strade romane, presente  anche nei toponimi Chianche, Chianchetelle e simili, nonché nel dialettale chianca= macelleria);

-        Castiglione di Morra, fortilizio nato per controllare la capostrada e sparito nel XIII sec.;

-        tre lastre tombali in tre punti diversi, ma tutte a poca distanza dalla strada;

-        un’iscrizione dedicata “a Diana Cacciatrice” su una pietra lavorata ad arco di corona circolare (i resti di un'ara? la descrizione è basata sulla testimonianza orale del vecchio proprietario Marra, ma il manufatto, dopo il terremoto, è risultato irreperibile);

-        evidenti tracce di centuriazione nel tratto più a valle

 

Sono tutti elementi che confermano la primaria importanza della strada protrattasi ben oltre la caduta dell’impero romano visto che in un raggio di parecchi chilometri non esiste un' analoga concentrazione di memorie.

 

Ulteriori testimonianze vengono fornite dai testi classici:

-        Strabone (VI,3,7) evidenzia in età augustea solo due percorsi da Brindisi a Benevento: uno adatto  ai muli per Egnatia ed Herdonia, l'altro più a sud che, passando per Taranto e Venosa ed essendo percorribile dai carri, richiede un giorno in più ed è chiamato Appia;

-        Tito Livio spiega che Annibale, dopo Canne, si ferma a Conza (e non a Bisaccia o a Carife) per decidere se muovere verso Roma e vi lascia poi un forte presidio col fratello Magone;

-        Procopio di Cesarea narra ne “La guerra gotica” che i Goti superstiti tentano l'ultima resistenza, dopo la morte di Teia, a Conza e non in Baronia;

-        i Longobardi scelgono Conza come gastaldato confermando la strategicità della cittadina la cui importanza viene ribadita con l'insediamento di un arcivescovo responsabile di una vasta Regione Ecclesiastica;

-        nel “Libro di Ruggero” (1154), nel descrivere la via che da Taranto porta a Napoli, il geografo arabo Idrisi cita esplicitamente le tappe Gravina-Venosa-Melfi-Conza-Frigento;

-        i “tre vici” citati da Orazio (viaggio del 37 a. C.) non corrispondono  al paese di Trevico (vd. Nicola Fierro in Rassegna Storica Irpina n. 13 -14), ed è tutto da dimostrare che Orazio abbia percorso, dopo Beneventum, l’antica via Appia;

-        Konrad Mannert (1756-1834), storico e geografo di riconosciuta competenza, pur non disponendo dei tanti dati su elencati, sulla base delle fonti documentarie e della natura del territorio, fu il primo a porre Romulea e Subromula (sub inteso come a valle)  nell'area Guardia/Morra.

 

A      

 

           A questo punto, nell'ipotesi che la via Appia toccasse Conza, resta da  individuare il percorso per arrivare a Melfi e Venosa. Ci soccorre una mappa del primo '800 che riporta una strada, oggi scomparsa, che da Conza, costeggiando la sponda sinistra dell'Ofanto, passava sotto Cairano, Calitri e Monteverde: qui traversava l'Ofanto col ponte detto Pietra dell'Oglio. Questo ponte, per le sue caratteristiche costruttive (uso del calcestruzzo tra paramenti ad opus incertum), è databile tra 200 e 100 a.C. e ben  si presta ad essere identificato come il Pons Aufidi della Tavola di Peutinger e dell’Itinerario Antonino piuttosto che il successivo ponte di Santa Venere.

 

           Si noti che gli studiosi convengono che entrambi i documenti fissano le distanze tra Aeclanum e Sub Romula e tra Sub Romula ed il ponte sull’Ofanto rispettivamente in XXI e XXII milia passuum. Queste distanze corrispondono perfettamente con una Sub Romula posta nei pressi dell’Ofanto e della capostrada e con il ponte di “Pietra dell’Oglio” identificato come Pons Aufidi. Si tratta di un dato di fondamentale importanza perché basato su numeri esatti e non confutabili : eventuali percorsi alternativi richiederebbaro pari precisione.

 

          Il fatto che nei pochi chilometri tra Morra e Monteverde il Catalogo dei Baroni di epoca normanna elenchi i feudi  di Castiglione di Morra, Castiglione della Contessa e di Pietra Palomba, ognuno con relativo castello, non può che confermare l'importanza della strada ancora nel medioevo.

 

Quanto esposto, in gran parte ignoto alle pubblicazioni specializzate, lascia supporre che la via Appia passasse per Conza e di lì, dopo Calitri, per il Ponte di Pietra dell'Oglio. Non sono noti alla data itinerari alternativi supportati da  documenti e reperti alitrettanto probanti.

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