La fiera di S. Lucia
Un avvenimento locale, ma ricco di storia e fede, che Gerardino, con la sua infaticabile opera divulgatrice, seppur lontano dal suo paese natio, permette ai morresi emigrati e alle loro famiglie di seguire e rivivere con immagini e parole le vicende della propria terra natale, mantenendo così vivo, in una comunità, un legame che nessuna distanza può cancellare. Anche quest'anno, quindi, come per il passato, la quarta domenica di settembre ha visto lo svolgimento della fiera di S. Lucia. Una cerimonia diversa dalle ultime, infatti, dopo un restauro eseguito a Nusco e durato quattro mesi, la statua della Santa è rientrata a Morra il 25 settembre. Dopo la Santa Messa officiata nella Chiesa Madre e la benedizione della statua impartita dal Vescovo, una partecipata processione ha accompagnato la Santa Martire nella sua “casa”, in contrada S. Lucia, come testimoniato dalle foto sul sito. In previsione del rientro della Martire, la chiesa e l'area circostante sono state oggetto di interventi di sistemazione e ornamento; infatti, il piazzale davanti al tempio è stato pavimentato, si è realizzata una recinzione con uno steccato ed è stata collocata qualche panchina con tettoia, oltre ad altri interventi. Per quanto realizzato e per quanto ancora si concretizzerà per completare l'opera di abbellimento del sito religioso, nonché per l'organizzazione delle due feste, quella di settembre e quella del 13 dicembre, S. Lucia, dobbiamo ammirare e ringraziare l'impegno di coloro che partecipano a mantenere viva questa tradizione che grazie alla loro opera resterà nel tempo.
Morra, come tutti i paesi limitrofi, ha origine e cultura contadina e fin dall'inizio lo scopo di questa fiera era (dico era perché i tempi sono cambiati) di permettere il commercio, lo scambio dei prodotti del proprio lavoro. A questa fiera la faceva da padrone il maiale ( lu puorcu). C'erano anche polli, pecore, capre, mucche, ecc., ma il re della festa era lu puorcu. C'erano i contadini che allevavano i maialini e quelli che li compravano. Perché nelle loro case il detto ” quannu nge lu puorcu c'è la ricchezza”, il maiale era tutto, costituiva la sicurezza alimentare. La famiglia che comprava il maiale lo rinchiudeva in un piccolo recinto, “lu purcinu”, perché doveva aumentare di peso e ingrassare. Il grasso era la basa della cucina contadina, e il lardo sulla schiena del maiale doveva essere spesso almeno 3 dita. Dopo più o meno tre mesi, tra dicembre e febbraio, lo si ammazzava ed era tutta una festa, “ma non pe lu puorcu”, e per la circostanza si invitavano parenti e amici. Dopo aver “sistemato” il maiale, gli uomini giocavano a carte, mentre le donne cucinavano. Per quella occasione non mancavano mai i fusilli, “li maccaruni cu lu fierru”. Dopo aver mangiato e bevuto le donne si intrattenevano raccontando qualche “fatterello”, mentre gli uomini giocavano a “patronu e sotto”, nell'attesa del ballo serale. Dimenticavo. C'era una bella usanza: si portava al vicino di casa un piatto di pasta con alcuni pezzi di spezzatino di maiale, “la crianza”, il rispetto, abitudine questa che con la vita moderna si è persa.
Cicchetti Nicola
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